Un falegname di parole: Intervista all’autore di “Non per un dio ma nemmeno per gioco”

Di Giancarlo Susanna
Dal sito web RAI – Rai Libro (2005)

Mi è capitato di scrivere una recensione di Non per un dio ma nemmeno per gioco di Luigi Viva senza aver conosciuto l’autore. In seguito ho avuto modo di incontrarlo e di constatare immediatamente in qual misura l’onestà intellettuale con cui Luigi ha lavorato al suo libro su Fabrizio sia uno dei tratti peculiari del suo carattere. Di Luigi – come di pochi altri critici e giornalisti – Fabrizio si fidava. Lo considerava un amico.

La consuetudine che era nata tra loro gli ha consentito di avere accesso a informazioni e notizie di prima mano e di scrivere quella che resta la più seria e completa biografia del cantautore genovese, pubblicata – su indicazione dello stesso Fabrizio – nell’Universale Economica Feltrinelli.

Abbiamo voluto sentirlo perché ci raccontasse qualcosa dell’amore che Fabrizio aveva per i libri – che si trattasse di romanzi, di raccolte di versi, di saggi o di trattati sull’agricoltura e l’allevamento degli animali.

“Fabrizio soffriva d’insonnia. Forse con il passar degli anni la vita da artista o la vita del tirar tardi la notte lo avevano portato a leggere soprattutto nelle ore notturne. I libri erano una delle sue grandi passioni, una passione che nasceva dalla sua curiosità. Fabrizio voleva conoscere, voleva apprendere…

Quando andai in Sardegna a lavorare sulla biografia fui colpito nel vedere che i due letti della sua stanza erano stracolmi di libri. C’erano pile di libri, libri di ogni genere… Fabrizio usava le prime pagine bianche per fissare delle idee, delle poesie e proprio in quella occasione mi lesse dei versi che mi restarono a lungo impressi e in cui si definiva: “falegname di parole”.

Nella libreria della sua casa in Sardegna, vicino ai testi di letteratura, ce n’erano molti altri sull’agricoltura, sull’allevamento degli animali. Quando aveva un dubbio, prendeva un libro. Aveva la curiosità del conoscere e del sapere”.

“Uno dei motivi di qualche litigata con Filippo, il fattore con cui Fabrizio e Dori hanno costruito la tenuta dell’Agnata, era proprio questo. Filippo conosceva l’agricoltura per esperienza sul campo nel vero senso della parola e ogni tanto Fabrizio diceva che una cosa andava fatta in una maniera anziché in un’altra perché l’aveva letto su un libro. Cominciavano a discutere, ma dopo un po’ Fabrizio si rendeva conto di aver sbagliato. Non sempre i libri ti possono insegnare tutte le cose che puoi acquisire in anni di pratica”.

“Un’altra cosa che ricordo è che Fabrizio faceva due differenti tipi di sottolineatura sulle pagine dei libri. Inquadrava un periodo in base a quanto era intrigante nel racconto e in base a quanto era poeticamente efficace. Tutti i libri avevano questo tipo di sottolineatura: divideva le frasi interessanti da un punto di vista letterario, della costruzione sintattica, o dalle immagini poetiche”.

“Da suo padre aveva ereditato la passione per la letteratura francese, che leggeva spesso in lingua originale. Dal fratello Mauro, che era più grande di lui, quella per autori come Steinbeck, Cronin, Bakunin, Maupassant, Dostoevskij, Villon, Balzac… Quando ha cominciato a scrivere e a fare musica, aveva già una buona conoscenza della letteratura mondiale. E poi ha continuato, anche sulla spinta della prima moglie, a impossessarsi di più di questo tipo di conoscenza”.

“E’ importante ricordare anche come si è avvicinato alla poesia. Nel 1954, alla Morra, la località piemontese in cui andava in vacanza, conobbe Remo Borzini, un amico di famiglia che era – ed è perché è ancora in vita, anche se è molto anziano – un petroliere che aveva l’hobby della scrittura. Era un poeta, uno scrittore e anche un bravissimo pittore. Remo gli leggeva le poesie e Fabrizio mi raccontava che gli andava dietro come un cagnolino. Da allora è nato in lui l’amore per la poesia e per la letteratura”.

“E’ quasi impossibile inquadrare la cultura letteraria di Fabrizio in qualche genere particolare. Era un lettore onnivoro e molto attento, anche se poi si occupava delle cose che lo colpivano di più. Aveva fatto il liceo classico, poi era passato da una facoltà universitaria all’altra finché non aveva dato diversi esami a legge. Non aveva seguito un ciclo di studi completo, ma aveva letto centinaia e centinaia di libri e questo gli aveva dato una cultura costruita molto seriamente”.

“Con Fabrizio ti potevi confrontare su qualsiasi argomento, ma c’erano tre cose che lo appassionavano molto: l’agricoltura, la filosofia e l’anarchia. Erano i tre cardini che almeno io ho individuato nel nostro rapporto. E lì galoppava. Buttava giù tutte le staccionate. In genere ti metteva nella condizione di esprimerti al meglio, ma se gli davi il la su uno di questi tre argomenti, aveva piacere di farti conoscere delle cose e di farti vedere che lui ne sapeva. Era la passione, che lo faceva parlare”.

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